attorno al mar Nero
Di miei racconti ne sono stati pubblicati diversi, ma quello che vi voglio proporre è quello che ritengo il migliore, dopo ai libri ovviamente, in cui senza vincoli di spazio, riesco a trasferire pienamente le mie emozioni…

Un viaggio realizzato nel 2004 attraverso l’Austria, l’Ungheria, l’Ucraina e l’incantevole penisola di Crimea; l’incandescente Russia caucasica, con le sue repubbliche che lottano per l’indipendenza; la poverissima Georgia; quindi il fiabesco Kurdistan in Turchia. Sempre in Turchia la Cappadocia, poi il Bosforo, il canale che divide l’Europa dall’Asia, la Bulgaria, e di nuovo a casa attraverso l’ex Yugoslavia.
Un viaggio che mi ha soddisfatto pienamente: tanta gente incontrata, luoghi bellissimi, imprevisti e colpi di scena. Le belle fotografie (e di seguito ne propongo alcune) le ho incluse assieme a molte altre nella raccolta fotografica: ed ancora più a Est

Attorno al mar Nero:
Passati i bagordi natalizi è già tempo di programmare la prossima estate, e per quest’anno prevedo di fare il giro del mar Nero. Una decina di stati da attraversare, 10-12.000 km in 4 settimane nelle quali di certo non mancheranno difficoltà ed emozionanti avventure. Il Goldwing 1200 dell’86 di nome Thelma, mia inseparabile compagna di viaggio, ha già ricevuto durante l’inverno le mie amorevoli cure e sta già scalpitando.
Già a marzo fervono i preparativi. Ho bisogno dei visti per Ucraina, Russia e Georgia, ed è meglio iniziare le pratiche in anticipo nell’insorgenza di qualche contrattempo. Come sempre contatto la mia agenzia di fiducia. Qualche settimana più tardi la solerte impiegata mi informa via mail che per la Georgia ci sono dei problemi: l’ambasciata vuole una dichiarazione firmata in cui attesto di essere a conoscenza sulla pericolosità di quei luoghi. «È solo una formalità!» penso ed un paio di giorni dopo gliela invio tramite raccomandata.
Nel frattempo mi sto preparando anche fisicamente, e con l’ozono terapia cerco di ridurre i problemi creati da un’ernia al disco, diagnosticata lo scorso anno e che mi sta dando parecchio fastidio.
Ormai è tutto pronto e la mattina del 29 maggio del 2004 faccio l’ultimo controllo. I dollari di riserva ci sono, così come i documenti ed i medicinali. La tenda non la porto, solo il sacco a pelo. Chiavi ed attrezzatura varia ci sono, qualche ricambio ed un litro d’olio per i rabbocchi… «C’è tutto!».
Sarei pronto per partire ma mia madre mi trattiene per il bavero del giubbotto: continua a farmi il “segno della croce” e ad impartirmi benedizioni con il suo crocifisso. Quando mi sembra di averne prese a sufficienza cerco di divincolarmi ma niente da fare; prima devo recitare con lei un’ultima “Ave Maria”…
Ora non mi resta che abbracciarla assieme a mia sorella: «State tranquille!» le rassicuro, «Stai attento figlio mio!» replica mia madre in lacrime, «Telefona!» conclude mia sorella.
VROOOM… casco ben allacciato, luce accesa e via verso l’avventura; in un attimo sono in Austria.
Sono euforico! Dopo la Mongolia nel 2001 sento che vivrò un’altra bella esperienza. Se ce la farò, ritornerò arricchito e migliorato, certamente un uomo ancor più maturo e consapevole. Mi sento pronto, ma in questi casi sono talmente emozionato che mi si arrossano gli occhi.
Ma ora cerco di recuperare lucidità e concentrarmi sul viaggio. Il mio primo obiettivo è in Ucraina, più precisamente a Odessa. Lo scorso mese di ottobre, proprio a Odessa ho conosciuto Katia, una ragazza simpatica e carina. All’epoca abbiamo avuto modo di parlare solo per poco tempo, ma ci siamo piaciuti a sufficienza per scambiarci il numero di telefono. Siamo rimasti in contatto e adesso non vedo l’ora di rivederla: «E già… non si vive di sola moto!».
Attraverso l’Ungheria gagliardo, mi bevo Budapest ed entro in Ucraina. Al confine di Chop sembrano ammorbiditi e la burocrazia si è fatta più snella. D’ora in avanti si parlerà russo, ed io un po’ mi sento a casa.
Ora sto attraversando i monti Carpazi: un saliscendi continuo in uno spettacolo che definire bucolico è poco. Thelma è felice, e canta la sua gioia che pare un merlo in amore: «Che moto!».
Supero la città di L’Viv. Più avanti, rivedo i posti dove due anni prima la polizia mi ha dissanguato a suon di “mazzette”; ora però ho fatto esperienza, so come comportarmi ed anche se mi fermano diverse volte ne esco sempre indenne.
Ormai è quasi ora, e qualche giorno dopo aver lasciato casa mi sento alla vigilia di un giorno importante. Via sms ci diamo appuntamento nel parco di fronte all’hotel Passage, esattamente dove ci siamo conosciuti. L’altra volta eravamo di fretta ma ora è giunto il momento di conoscerci meglio… «Chissà?!?».
L’indomani percorro l’ultimo tratto di strada che mi separa da Odessa.
Ora però sono abbastanza teso e mi sudano le mani. Cerco di controllarmi mentre seduto sulla ringhiera di recinzione del parco la vedo arrivare. Il suo taxi si ferma una decina di metri davanti a me. Rispetto all’anno scorso si è tagliata i suoi bellissimi capelli biondi: «Peccato, ma va bene lo stesso!». La osservo mentre scende. Appoggia a terra prima il suo piedino destro: «Eh sì, il polpaccetto mi sembra davvero ben tornito!». Poi esce tutta, io la chiamo: «Katia!» lei mi scorge, e sorridente mi viene incontro. La volta scorsa nel suo castigato abbigliamento autunnale poco lasciava presagire, ma ora… Indossa una gonnellina grigia piuttosto corta, ed una camicetta bianca il cui unico bottone sembra esplodere sotto la spinta del suo… mammamia! «Eh sì, anche con i capelli corti direi che va moolto bene lo stesso!!».
Odessa è un‘importante città portuale sul mar Nero; famosa, è la sua bellissima gradinata. Nei giorni seguenti Katia mi fa visitare la città. Qualche vasca per il centro, si va in ristorante, passeggiatina sul lungomare, insomma ci si diverte senza esagerazioni. Proprio come me Katia è una ragazza tranquilla che non ama la confusione. Parliamo del più e del meno in inglese, lei lo conosce benissimo, è stata un anno a studiare in America. Ovviamente la porto anche in giro in moto; si diverte come una matta, dice che per lei è la prima volta e mi sembra strafelice. Anche Thelma pare felice del suo dolce peso. Io? «Che domande!!».
La storia assume decisamente una bella piega ma qualche giorno dopo mi prende la smania, e la informo che devo partire. Katia mi chiede di fermarmi ancora un po’. Io sono combattuto; sto proprio bene a Odessa con lei… davvero vorrei fermarmi, ma...
Talvolta vorrei che non fosse così, ma… l’avventura ha su di me un fascino assoluto a cui non riesco ad oppormi. È una brama di ignoto che mi brucia nel petto, un amore irresistibile verso il mondo, un desiderio incontrastabile di confronto umano e di crescita personale.
È inutile che glielo spieghi, non mi capirebbe. Le prometto che ci rivedremo ma… domani devo proprio andare!
L’indomani, con il suo dolce sapore sulle labbra e l’amaro nel cuore, mi avvio verso la Crimea.
Nei giorni seguenti mi sorprendono diversi temporali, ma la “quiete dopo la tempesta” mi regala cieli tersi, ed incantevoli scenografie accompagnano la mia strada. Attraverso vigneti, infiniti campi di grano, ed incredibili prati di fiori gialli e lillà. Katia riaffiora di tanto in tanto ma ormai ho raggiunto lo stretto di Kerc: quella sottile striscia di mare che funge da confine, e separa il mar Nero dal mare di Azov.
Ora il cuore mi batte fortissimo dall’emozione: il traghetto sta per raggiungere l’altra sponda. Attracca. «Yeah, sono in Russia!!!». La Russia, nel bene o nel male mi ha sempre fatto vivere i momenti più emozionanti, ed anche stavolta sento che non mi deluderà.
Costeggio il mar Nero su un nastro d’asfalto quasi privo di curve. Superato Novorossisk piego verso l’interno. Ora la strada comincia a salire per poi scendere di nuovo. Ampie curve si alternano a secchi tornanti: sto attraversando la grande catena montuosa del Caucaso. A tratti la strada è sterrata, a tratti è asfaltata ma molto sporca di ghiaia e terra portata dalle recenti piogge. Attraverso fitte boscaglie di faggio, ed ancora abeti e larici, in una natura imperiosa da mettere angoscia. Thelma, ipertrofica motocicletta, è superlativa. Come se niente fosse affronta il tornante: piega e poi si rialza. Evita un sasso, poi una buca. Ora accelera prepotente; supera un carretto, un camion, poi inchioda per schivare quella vacca che sta attraversando la strada. Come una giovane brasiliana, sculetta sul ghiaino ma subito si riprende. Talvolta è birichina ed allora scalcia sullo sterrato che pare impazzita. Poi vuole farsi perdonare, e per farmi fare una pp si ferma all’ombra di quel bel larice là a destra. Devo far veloce però, perché la “signora” subito vuole ripartire: a caccia di nuove ed entusiasmanti emozioni… «Eh la mia Thelma!». La mia schiena invece, ringrazia l’adrenalina che in questi momenti è alle stelle, e l’ernia al disco pare sopita.
Il Caucaso purtroppo è anche teatro di uno scontro che da anni si trascina con il governo centrale di Mosca. È una zona divisa in tante piccole regioni che chiedono l’indipendenza, anche al costo di violenti scontri armati.
Ora mi sposto verso sud-est, so di andare incontro al momento più delicato di tutto il viaggio: il passaggio in Georgia. Ho deciso di tentare il valico più a est, quello di Vladikavkaz, che sulla carta sembra essere il più comodo e diretto per raggiungere Tbilisi: la capitale della Georgia.
Entro in Ossezia, ed il tenore di vita già basso sembra diminuire ulteriormente. Sono ad appena 90 km da Grozny, la capitale della Cecenia, dove sono in corso aspri combattimenti. C’è un certo movimento di truppe e mezzi blindati, la popolazione comunque, con me si dimostra incuriosita e molto ospitale. Vogliono saper quali interessi mi spingano in moto, da solo, in quella parte di mondo dimenticata da Dio. Io, con il mio russo imparato on the road rispondo con pazienza alle loro domande. Li informo sulla moto, su di me, sui miei progetti. Loro apprezzano molto i miei sforzi di esprimermi nella loro lingua, dicono che la parlo bene. Io mi rapporto con loro senza timori, senza pregiudizi, senza compatimenti. Nei miei occhi e nelle mie parole c’è solo desiderio di confronto umano ed amicizia. Loro lo percepiscono, ed ognuno cerca di rendersi utile per agevolare la mia permanenza. Tutti vogliono offrirmi qualcosa: un pacchetto di sigarette, una bottiglia d’acqua, un bicchiere di vodka, un cetriolo.
Aiutato dalla curiosità che suscita la mia straordinaria cavalcatura, riesco a conquistarmi la simpatia anche di un poliziotto ad un posto di blocco, il quale in segno di amicizia verso il popolo italiano, si sfila 100 rubli (tre euro) di tasca, e me li porge. «Rassia-Italia» dice «drusiàt!» (Russia-Italia, amici!). Resto sorpreso, attonito per l’insolito gesto e scettico, li rifiuto con la mano. Ma lui mi rassicura: «Pà vodka» (Per la vodka) aggiunge. Vuole che li beva alla sua salute… incredibile! Di fronte a tanta ospitalità io mi sciolgo. Lo abbraccio, e commosso replico: «Kagnesna drusiàt!» (Ma certo che siamo amici!).
È un rapporto particolare quello che mi lega alla Russia, ho vissuto attimi troppo intensi perché possa essere diversamente.
Alla sera mi fermo a Beslan, ospite a cena di Arthur e Nadine: due giovani sposi che ho appena conosciuto. Beslan è la cittadina dell’Ossezia balzata agli “orrori” della cronaca per essere stata presa di mira dai terroristi ceceni. Nella sua scuola infatti, nel settembre del 2004 è stato perpetrato uno dei più atroci atti terroristici nella storia della Russia, e dell’intera umanità. Una ferita che ha macchiato di sangue la storia moderna, e resterà per lungo tempo nel cuore di ognuno di noi.
Con Arthur e Nadine comunque, parliamo del più e del meno. Vogliono sapere di me, del mio viaggio, del mio paese; loro dell’Italia hanno sentito nominare solo Venezia. Io chiedo di loro, della difficile situazione economica, delle loro difficoltà, dei carri armati che girano. Con loro i discorsi non sono mai banali, ma sono anche pronti allo scherzo ed alla risata.
A serata ultimata vogliono che mi fermi qualche altro giorno loro ospite. Io commosso per tanta ospitalità li ringrazio ma mi schermisco: ho un lungo viaggio da affrontare e so che le difficoltà non sono nemmeno iniziate.
Spesso telefono a mia madre. La informo sulla mia posizione, la tranquillizzo sulle mie condizioni, talvolta bleffo se in quel giorno il mio morale non è dei migliori; ma lei percepisce le sfumature della mia voce, non riesco ad imbrogliarla, e per sostenermi fa l’elenco di tutte le persone che hanno chiesto di me e mi fanno gli auguri. Lei sa che faccio qualcosa che ritengo importante, e mi incoraggia… sempre!
La mamma: il porto sicuro, il grembo su cui piangere se le cose vanno storte, le fondamenta di una solidità interiore... benedetta!
Scambio qualche sms con Katia, e con amici o conoscenti che mi vogliono sostenere. Per me sono davvero di grande aiuto, sapere che a casa mi pensano mi dà forza e coraggio.
Ma ora ho bisogno di dormire. So per certo che la Georgia è un confine delicato e domani sarà una giornata determinante: dovrò dare il meglio di me in fatto di diplomazia, sensibilità ed intuito, il tutto condito da ottimismo ed entusiasmo.
Il giorno successivo, con il cuore in gola e grande circospezione, ad oltre 5.000 km da casa approccio per la prima volta in vita mia il confine georgiano. È pieno di disperati i quali disordinatamente attendono le lungaggini burocratiche.
Sfruttando lo stupore generale ed il grande effetto scenico della mia Thelma, supero la coda e mi porto velocemente a ridosso della prima barriera. In breve mi ritrovo accerchiato di curiosi; cerco di rilassarmi e di socializzare con tutti. I doganieri però mi informano che quel confine è transitabile solo ai residenti muniti di regolare lasciapassare, e pertanto, chiuso agli stranieri. Mi sento crollare il mondo addosso… ma non mi do per vinto. Bleffo, assicurando che questo è il confine che mi ha indicato l’ambasciata georgiana a Roma. Loro replicano, portando avanti le loro ragioni. Le provo tutte, ma dopo tre orette di serrata trattativa in cui non lascio niente di intentato, sono costretto a capitolare. Amareggiato, chiedo informazioni su quale sia il passaggio possibile. Mi dicono che per entrare in Georgia l’unica via certa è il mare, partendo dal porto di Novorossjsk; oppure tentare il confine di Soci.
Mentre mi allontano piango lacrime di grande rabbia e delusione: mi sento frustrato, sconfitto, vinto.
Cerco comunque di recuperare lucidità per fare il punto della situazione e decidere il da farsi.
Sono un navigatore di Terra, e per ora scarto assolutamente l’ipotesi di un ingresso via mare, opto quindi per dirigermi senza ulteriori perdite di tempo verso il confine di Soci: importante città sul mar Nero, ma a ben 1.100 km di distanza!
Due giorni dopo, rinfrancato nello spirito e rasserenato nell’animo, raggiungo Soci.
Il confine dà sull’Abkhazia, una regione considerata “terra di nessuno”, ed in rivolta per ottenere l’indipendenza.
Purtroppo di nuovo mi respingono. «No, non è possibile!». Insisto ed insisto ancora... «Impossibile!» dicono, «Perché?!?» chiedo. Un doganiere precisa che il presidente Putin per ragioni di sicurezza ha chiuso agli stranieri tutti i valichi via terra. «Noooo!!!». Un pugno sul naso mi avrebbe certamente fatto meno male…
Sigh-Sigh… a questo punto mi sento davvero braccato dalla sfiga! Sconfitto, distrutto, e con il morale paragonabile alle coste della Florida dopo il passaggio dell’uragano Ivan, mi accendo una sigaretta seduto all’ombra di un pino marittimo. Poi, un pochino rinfrancato, chiedo come fare per raggiungere sta’ benedetta di Georgia.
Mi informano, e due orette più tardi con la faccia del cane bastonato, sono alla biglietteria del porto di Soci per chiedere di imbarcarmi sul primo battello. Stavolta però mi sento fortunato: la nave per la Georgia è settimanale e parte solo il martedì, cioè domani! La bigliettaia specifica che per poter imbarcare la moto, devo presentarmi con diverse ore di anticipo all’ufficio merci del porto... OK!
Alla sera non ho neanche fame, spero solo di riuscire ad imbarcarmi su quel battello, e dopo l’ennesima sigaretta mi addormento.
Il giorno successivo, con l’umore recuperato all’80% e convinto che tutto andrà bene, mi presento all’ufficio merci. Con fare diplomatico specifico le mie esigenze alla segretaria, ma lei mi informa che sono al completo, e non c’è posto per la moto. «No… impossibile…» penso incredulo. Fiducioso che la sua risposta è solo il frutto di un’incomprensione dovuta alla mia scarsa padronanza della lingua, cerco di spiegarmi meglio, ma lei mi ripete che sono al completo. Un po’ meno fiducioso ma comunque ottimista, per intenerirla racconto tutte le mie vicissitudini, suggerendo che un posticino per una moto nella stiva di una nave si potrà pur trovare?!? Trepidante attendo una risposta positiva, ma lei impassibile che pare una zitella senza speranza, replica alla stessa maniera: «Nièt!!».
«Kazzo no… non doveva finire così…». Un inferno di emozioni negative si abbattono sulla mia mente: «Siamo all’epilogo» penso mentre mi passo la mano sulla fronte per asciugarmi il sudore che ora sta colando copioso. Non salire su quel battello significherebbe fallire definitivamente nel mio proposito, e dover tornare indietro.
«NO, non deve finire così!» penso mentre la rabbia sta per impadronirsi di me. Poi un nodo mi prende alla gola, percepisco chiaramente il morso dell’adrenalina. Sto per esplodere… esplodo! Con la faccia verde di bile mi gioco l’ultima carta ed in tono inequivocabile scandisco al meglio queste parole: «La-mia-moto-deve-assolutamente-salire-con-me-su-quella-nave!!!».
La babbiona impassibile alza la cornetta: «Telefona alla polizia?!?!» penso allarmato temendo di aver esagerato. E invece no, chiama il capitano della nave per trovare una sistemazione per la moto. Tiro un sospiro di sollievo, e nel tardo pomeriggio mi imbarco su una “bagnarola” diretta in Georgia: «Yeah, ho vinto!!!».
«Russia bastarda ti amerò per sempre!» penso soddisfatto mentre guardo dal mare, allontanarsi le luci del porto di Soci. «Anche stavolta hai tentato di fiaccarmi in mille modi, ma io sono stato tenace, ed alla fine mi hai premiato con le emozioni più forti».
Il confine Russia-Georgia divide anche l’Europa dall’Asia.
La mattina del giorno successivo sbarco finalmente a Poti, in Georgia, e sbrigate le formalità doganali mi avvio verso Tbilisi.
La prima impressione georgiana è indescrivibile, spettrale, un paese ridotto alla fame. Tutto è grigio, abbandonato, eroso dal tempo e dalla mancanza di manutenzione. La Georgia, uno “staterello” piccolo e senza risorse ha voluto l’indipendenza dalla Russia, ed ora ne paga lo scotto. Le strade a tratti sono al limite della praticabilità, comunque alla sera sono a Tbilisi, una meta che ho caparbiamente desiderato. Scatto qualche foto con il treppiede sotto il cartello segnaletico indicante la città, ma sono così stanco che non riesco neanche a gioire.
Il giorno successivo mi godo un meritato riposo e faccio il turista per le vie della capitale. Le macchine private sono molto poche ed il traffico è dominato da minibus. Neanche il centro città è risparmiato dall’impressione di squallore e di abbandono ricevuta dalla periferia. Non esiste un esercizio commerciale con le fattezze di un normale negozio, o un bar che assomigli ad un bar. Non si vedono cantieri edili, o restauri in corso. Le belle chiese, così come i grandi palazzoni del centro, sono lasciati nel più totale abbandono. I georgiani sono comunque gentili, miti ed ospitali.
L’indomani sono di nuovo on the road, questa volta faccio rotta verso la Turchia.
I locali mi assicurano che esiste un valico non segnato sulla mia carta geografica che mi farebbe risparmiare molti chilometri. Effettivamente c’è. La strada sterrata per lo più in salita è pessima, ed attraversa paesi e villaggi in stato di indescrivibile abbandono. Thelma, motocicletta polifunzionale, per l’ennesima volta si trasforma in CR. Procedo in “souplesse” sulle pedane usando solo la prima o la seconda marcia, e con la ventola del radiatore che non “stacca” mai, riesco nel mio intento di raggiungere il confine turco.
Dopo non poche formalità mi accoglie maestosa l’Anatolia orientale: la regione più a est della Turchia. È il Kurdistan, martoriato pochi anni fa da un esodo di proporzioni bibliche. Ora viaggio sull’Acrocoro Armeno: un altipiano verdeggiante ma completamente privo di vegetazione arborea. Sono a circa 2.000m di altezza, con passi che raggiungono i 2.600m; il traffico è pressoché inesistente. Lambisco la neve in quota e costeggio grandi laghi a fondo valle, in un paesaggio fortemente caratterizzato da villaggetti di case in pietra, con il caratteristico tetto piatto ricoperto di terra. Al centro dei villaggi svetta sempre il minareto a forma di siluro, da cui ad orari prestabiliti si sparge imperiosa la voce del muezzin. L’Islam comincia a dettare le sue regole e le donne sono coperte dal velo. Le costruzioni, le tradizioni, e la fisionomia delle persone, in pochi chilometri sono radicalmente cambiate. L’unica economia sembra essere la pastorizia.
Anche i kurdi sono molto ospitali, ed ovunque mi fermi vogliono offrirmi il tè, la loro bevanda tradizionale. A differenza dei russi, parlano pochissimo. La loro lingua mi è incomprensibile e fra noi non c’è dialogo, ma esiste un “linguaggio assoluto” che non ha bisogno di parole, un linguaggio che parla di amicizia, di pace e di fratellanza universale…
Alla “ricerca dell’arca”, costeggio il confine armeno fino alle pendici del monte Ararat, poi piego decisamente verso ovest, di nuovo verso l’Europa.
Verdi altipiani si alternano a montagne desertiche, in cui spiccano lussureggianti oasi nei fondovalle, in un paesaggio fiabesco, che sfuma la sua magia man mano che mi avvicino ad occidente. Verso il centro della grande Turchia visito la Cappadocia. Qui la natura ha giocato uno dei suoi scherzi più straordinari: il paesaggio è dominato da incredibili pinnacoli di tufo. A Nevshehir, Goreme, Ucisar, lo spettacolo è davvero mozzafiato, con le caratteristiche case scavate dagli antichi all’interno di questi strani pinnacoli.
Ma già qui i turisti accorrono a frotte, ed il “dio denaro” comincia a dettare la sua fredda legge. Dalla Cappadocia, spostandosi verso ovest, la Turchia perde le sue peculiarità, ed il grigiore della globalizzazione sembra ovattare secolari tradizioni. Anche il paesaggio cambia, e diventa molto più anonimo e piatto.
Superata Ankara inizia l’autostrada, 400 km dopo raggiungo Istanbul. Vorrei entrarci ma le grandi città mi mettono soggezione, ed in più, la mia tabella di marcia ha subito un grave ritardo nei due tentativi falliti di raggiungere la Georgia via terra. Tiro dritto…
Ora alla mia destra ed alla mia sinistra posso vedere i moderni palazzoni di Istanbul, ed altissime gru che ne stanno costruendo di nuovi testimoniano che la città è in crescita, è attiva, è vitale. Poco più avanti mi pervade un nuovo brivido… sto percorrendo il ponte sul Bosforo!
È lo spettacolare canale che separa il mar Nero dal mare di Marmara, ma ancor di più segna il confine fra due continenti così diversi: la grande e placida Asia, dalla piccola e nevrotica Europa. Spendo l’ultima notte turca a Edirne, ad un passo dal confine con la Bulgaria. L’albergo è desolante ma a me interessa solo concentrarmi sulla tappa di domani. Se la fortuna mi assiste infatti, voglio concludere questo emozionante viaggio con una lunghissima cavalcata. Venerdì 25, in una chiara e fresca mattinata di fine giugno, lancio la mia sfida. Alle 6, motivato come non mai sono già in strada; Thelma percepisce l’impegno e fa il “verso” delle grandi occasioni. In breve approccio il confine bulgaro e un’oretta più tardi sono in Bulgaria. Supero un carretto trainato da un somaro con le orecchie particolarmente lunghe e mi sparo verso Sofia. Dopo Plovdiv inizia la doppia corsia, il fondo non è dei migliori ma riesco comunque a tenere una buona media. L’anello circolare corre molto esterno, e verso le 10e30 posso vvedere in lontananza sulla mia sinistra i palazzi della città di Sofia. Dopo Sofia la strada a doppia corsia si restringe. Più tardi mi presento al confine con la Serbia… lo supero. Thelma infaticabile, sta dando il meglio di se ed io sono bello carico. Sul far del mezzogiorno, controllo la mia posizione sulla carta geografica mentre addento un panino in un’area di servizio: «Posso farcela ma non devo perdere tempo!». WROARR… l’animale ruggisce e scalpita ma la E80 verso Nis corre in una gola molto stretta e trafficata: spesso in prossimità delle gallerie i camion devono fermarsi per poter incrociare. L’asfalto è infido e procedo con gran circospezione, ma in una curva a destra non mi avvedo di una perdita di gasolio dal camion che mi precede: Swish... Thelma sbanda su entrambe le ruote in maniera terrificante, istintivamente do una zampata di destro… sto per cadere… ma miracolosamente riprende aderenza. «Kaazzzoo!!! Che gran botta di kulo…» penso mentre riprendo il fiato che dalla strizza mi era venuto a mmancare. Evidentemente la Madonna ha voluto appoggiarmi la “Sua mano” sul casco; La ringrazio veramente di cuore, e già che c’è Le chiedo la cortesia di non toglierla… almeno finché non avrò raggiunto casa.
Poco più avanti supero il camion bulgaro che ormai sta perdendo gasolio a cascata. Lo fermo, ed inkazzato come una ruga aggredisco di improperi l’ignaro camionista. Ben presto mi rassereno, rendendomi conto che lui non ha colpa; gli offro una sigaretta mentre valutiamo insieme il problema. Poi risollevato gli stringo la mano, e confortato dalla “protezione celeste” mi proietto alla conquista di Belgrado. Ora il pachiderma fila a cannone, ed alle 5 del pomeriggio lambisco soddisfatto i palazzi di Belgrado. Sono circa a metà strada. Ho percorso il tratto più brutto ma d’ora in avanti dovrò far i conti con la stanchezza ed un naturale calo della soglia d’attenzione. Entro in Croazia, e verso le 8 di sera sono fermo in un autogrill per rifocillarmi e pulire il parabrezza prima che faccia buio. Me la prendo comoda, e seduto sul marciapiede mi accendo una sigaretta mentre mi gusto la mia Thelma osservandola dal basso verso l’alto: «È tutta sporca ma… quanto è bella!». Poi penso alla mia ernia al disco: «Da che soono partito da casa non l’ho quasi più avvertita! E pensare che il dottore mi aveva suggerito di usare la moto con parsimonia… AH AH!» sorrido soddisfatto. «Ma che cosa ne sanno sti’ dottoroni di quali miracolosi effetti terapeutici ha la moto su di noi?!? Ragazzi, è questa la nostra medicina!!!».
Ristabilito, ristorato, rigenerato, do di start… WROOOM. Prima di partire mi fermo un attimo ad “auscultare” il battito del suo cuore al minimo: 950-1000 colpi al minuto; non un colpo anomalo od un’extrasistole, dopo 18 anni di battaglie e 275.354 km indicati sullo strumento, il suo cuore è ancora regolare come quello di un atleta: «Che gioiellino!».
Con il parabrezza pulito, verso le 10e30 supero Zagabria e subito dopo finisce l’autostrada. Ora però, anche se sono sorretto da una grande motivazione devo ammettere di essere stanco, e sulla strada statale scarsamente illuminata dal vecchio faro H4, preferisco accodarmi ad una macchina che viaggia più o meno alla mia stessa velocità. Entro in Slovenia e verso l’una supero Lubiana: l’ultima delle quattro capitali di questa tappa. Ora inizia un breve tratto di autostrada fino a Jesenice poi la statale verso Tarvisio. Comincio a sentire odore di casa! Verso le 2 di notte, soddisfasttissimo entro finalmente in Italia. Ormai è quasi fatta ma proprio a Tarvisio mi sorprende un temporale.
Stanco morto, quasi stremato, e molto dispiaciuto per l’indesiderata incombenza, mi fermo sotto la pensilina di un distributore per indossare la tuta antipioggia; ma prima, mi fumo un’altra sigaretta. Verso le 4 di mattina sfilo di fronte al cartello segnaletico di Tolmezzo. Thelma, “nave ammiraglia” e perla della flotta, dopo 12.300 km sta per concludere l’ennesima missione di pace ed amicizia. Qualche minuto più tardi, la grande ammiraglia rientra in garage, il suo porto sicuro, ed io sfinito ma felice, riabbraccio mia madre.
Dopo un’estenuante tappa di quasi 1.600 km concludo questa fantastica avventura, in cui ho conosciuto meglio me stesso, il mondo e l’intera umanità. Io non mi sono risparmiato: con entusiasmo ho stretto tante mani, scherzato con tanti bambini, combattuto tanta burocrazia, ed ora mi sento migliorato nello spirito e nella mente.

È questa che io considero la vera ricchezza di un uomo!